Il viaggio




Fuori dal piccolo oblò le nuvole basse e grigie si stavano diradando appena; la pioggia, invece, continuava a battere sulla fusoliera bianca con un'insistenza stizzosa e caparbia. 
Quello non era stato un viaggio tranquillo! 
Mario non aveva paura di volare, non apparteneva alla categoria dei pavidi e superstiziosi viaggiatori che si farebbero impiccare, piuttosto che salire su un aereo! Tuttavia la prospettiva dell'atterraggio lo rasserenava: la, tutto sommato, breve tratta aveva riservato ai passeggeri un po' troppe emozioni.

Erano partiti puntuali dall'aeroporto di Parigi; il cielo era imbronciato, ma la luce del giorno morente sembrava voler bucare le nubi pesanti che avanzavano da sud come un presagio di sventura. 
L'equipaggio li aveva fatti accomodare tutti, aveva snocciolato le procedure di sicurezza e il comandante aveva annunciato il decollo imminente. Fin lì era andato tutto liscio; tutto come al solito. Poi, quando il segnale delle cinture avrebbe dovuto spegnersi, un altro annuncio in inglese, francese e italiano aveva informato i viaggiatori che ci sarebbero state forti turbolenze: dovevano rimanere seduti ai loro posti con le cinture ben allacciate perché l'apparecchio stava per attraversare una cella temporalesca.
Mario volava spesso a causa del suo lavoro, non era la prima volta che previsioni di quel tipo andavamo a finire in qualche sobbalzo di poco conto, accompagnato da un po' di pioggia, nulla più. Così si era rilassato sul sedile, non esattamente comodo, in attesa che gli permettessero di alzarsi per andare alla toilette.
L'aeroplano intanto sorvolava il continente come un vecchio scosso da violenti colpi di tosse. 
Poi una luce accecante tra le nubi nere e dense, un boato, un altro lampo di luce, poi il buio. 
Solo qualche istante, lungo come un'era geologica, di buio denso e tremendo. 
Grida. 
Silenzio. 
Le luci che si riaccendono lungo il soffitto dell'apparecchio. 
Ancora qualche scossone leggero. 
Una voce sorridente attraverso gli altoparlanti: ''Siamo fuori, la perturbazione è alle nostre spalle, potete slacciare le cinture di sicurezza''.
Sospiri di sollievo.

Quando finalmente erano sbarcati, sul momento non si era accorto di nulla. Anche un habitué come lui non era rimasto indifferente alla piccola tremenda avventura di quella sera. Si sentiva intontito, frastornato. Erano passati un paio di mesi dalla sua partenza, di solito la trasferta aveva quella durata e di solito il ritorno in patria non riservava sorprese o sostanziali cambiamenti: all'interno dell'aeroporto le stagioni non riuscivano ad intrufolarsi e gli ambienti del terminal lo accoglievano come vecchi amici, con il loro aspetto sempre uguale, famigliare e rassicurante. Dopo qualche minuto, però, si era guardato intorno a bocca aperta. Possibile che avessero completamente ristrutturato l'aeroporto? E in così poco tempo!? Aveva corrugato la fronte per cercare di ricordare se all'andata vi fossero dei lavori in corso; le immagini dei suoi molti imbarchi si sovrapponevano nel ricordo, ma... forse si, forse era stato lui a non notare transenne e operai, era sempre un po' di fretta e con la testa ingombra di numeri, statistiche, norme... Aveva sorriso a sé stesso con indulgenza: forse stava solo invecchiando.
Quando il percorso obbligato degli ''Arrivi'' era sfociato nel cuore pulsante del via vai di passeggeri, amici, parenti e di tutta l'eterogenea e variegata popolazione aeroportuale, Mario aveva ricevuto un colpo in pieno stomaco: qualche cosa non andava per davvero! Dagli abiti alle valige, dalle acconciature agli oggetti che la folla indossava, trascinava, sfoggiava e utilizzava: tutto urlava un'aliena estraneità al quotidiano che aveva vissuto fino a qualche ora prima. E poi lo strano, inquietante parlottare ad alta voce dei passanti, come se fossero assorti o matti, evasi in massa da qualche ospedale psichiatrico... E i piccoli gusci scuri che tenevano fra le mani? Che diavolerie erano quelle? Anche le luci erano diverse, algide e potenti come lui non ricordava di averne mai vedute. 
Si era diretto quasi correndo verso le grandi porte automatiche: voleva uscire il più in fretta possibile da quel girone infernale! Sua moglie lo stava di sicuro aspettando in auto, parcheggiata al solito posto, e lui non vedeva l'ora di riabbracciarla. 
Fuori pioveva a dirotto e un numero impressionante di vetture sfrecciava avanti e indietro, tutto attorno al grande stabile, lungo un intrico di viadotti sopraelevati che lui non aveva mai visto prima di allora. Sua moglie non c'era. Come avrebbe potuto, del resto? Quello non era l'aeroporto giusto! Forse il comandante aveva sbagliato la rotta a causa dell'interruzione della corrente, forse quella frazione di secondo era bastata a mandare in tilt gli strumenti di bordo... 
Dove si trovava?
Aveva deciso di tornare sui suoi passi e di cercare un telefono per avvertire casa dell'inconveniente; chissà come si sarebbe inquietata la sua signora non vedendolo arrivare alla macchina, poveretta! Avrebbe avvisato suo figlio che c'era stato un qui pro quo, che era finito chi sa dove... Già, dov'era finito? In quale luogo estraneo e remoto era approdato il suo aereo?
Si era precipitato verso un gruppetto di anziani, forse in partenza per una vacanza della terza età.
''Buona sera, scusatemi, in quale aeroporto ci troviamo?''
Uno dei viaggiatori che gli dava le spalle si era voltato verso di lui e lo aveva osservato per un istante, prima sorridendo, stupito della domanda assurda di quello stano tizio, poi con la bocca aperta e gli occhi sgranati, fissi in quelli identici ai suoi che a loro volta lo scrutavano, perplessi e sgomenti.
''Ma tu...'' aveva cominciato a sussurrare il vecchio.
''Tu sei...'' aveva ribattuto Mario, trattenendo il respiro.
C'era stato un boato: un fulmine poderoso era cascato dal cielo e aveva colpito in pieno l'aeroporto. 
Le luci si erano spente per un istante e quando si erano riaccese...

Mario aveva sbattuto le palpebre: i vecchi erano scomparsi e attorno a lui tutto aveva ripreso ad essere assolutamente normale: la gente, i bagagli le acconciature, gli abiti... tutto assolutamente giusto, come lui lo aveva lasciato due mesi addietro, il giorno della sua partenza alla volta di Parigi.
Prima di uscire nuovamente a cercare la moglie, si era diretto al telefono e aveva composto il numero di casa. 
Tre squilli e poi: ''Pronto? Chi parla?'' era suo figlio che gli rispondeva dal loro presente, con la sua voce fresca e solare; poteva quasi vedetelo... appoggiato al mobile dell'ingresso, con gli occhi fissi sulla parete del corridoio, quegli occhi che lui conosceva tanto bene, quegli occhi che avrebbe riconosciuto tra mille...
''Ciao Filippo, che giorno è oggi?''
Il giovanotto aveva esitato: suo padre si era forse rincretinito di botto?
''Che domande! E' sabato, no?''
Sì, certo che era sabato! Ma di che mese, di che anno? 
''Hai battuto la testa, papà?'' aveva detto Filippo con un tono ironico velato da una lieve inquietudine.
E poi gli aveva risposto: '' Sabato 23 ottobre 1975''.

 

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