L'occhio di Lince - Un S.Valentino veramente speciale!
Sono a letto sdraiata sul fianco sinistro, la posizione che odio di più. Non posso scorgere molto di ciò che mi circonda quando sono girata da questa parte: solo l'armadio a vista dai ripiani in vetro con sopra le pile di indumenti, le grucce appese all'asta di metallo e la parete del bagno, di un verde muschio molto rilassante, che si intravede al di là del fondo trasparente del guardaroba.
Oggi è S. Valentino ed io sono immensamente felice.
Siamo arrivati a Barcellona una settimana fa, venerdì 7 febbraio. Io avrei voluto rientrare subito dopo il prericovero, tanto fino al lunedì seguente non avremmo avuto nulla da fare in città, ma il marito aveva insistito per fermarsi già quel giorno lì, per prendere visione e possesso dell'appartamento che ci avrebbe ospitati lungo le due settimane della convalescenza. ''Ma così staremo via quasi tre settimane!'' mi ero lamentata io, però lui era stato irremovibile; tra l'altro tutti i possibili calcoli sembravano dargli ragione, da quelli monetari (un altro volo di andata e ritorno avrebbe vanificato il risparmio delle notti trascorse a casa) a quelli di rischio, perchè se a causa di un imprevisto avessimo mancato l'appuntamento con la sala operatoria, avremmo comunque dovuto pagare l'intero ammontare dell'intervento e poi c'era lo sbattone dei due viaggi ravvicinati con relative levatacce, la possibilità di ribeccarmi un nuovo giro di influenza (tra la folla bazzicante per gli aeroporti potevano circolare indisturbati i virus di stagione!)... Insomma, alla fine l'aveva vinta lui, così venerdì scorso, all'ora convenuta e con l'ingombrante e molesta compagnia delle nostre valigie, eravamo in clinica, pronti a fare tutti gli esami del caso.
E' stata una lunga mattina! Io ero un filino in ansia e la staffetta dei controlli sembrava non finire mai. L'incontro con l'anestesista, però, aveva segnato una piccola svolta.
Pazzerello. Non trovo nessuno altro termine che lo descriva meglio di questo. Era un tipo simpatico, pimpante, burlone... riusciva a farci sorridere anche se il catalano non lo capiamo poi così bene. Sapeva solo due parole in italiano e le aveva usate per descrivere le virtù della meravigliosa anestesia che avrebbe dovuto prepararmi alla sala operatoria: FACILE E DIVERTENTE.
He?! In che senso, mi scusi?
Lui era entusiasta della sua tecnica anestetica, era talmente sicura che un paziente ultracentenario l'aveva sopportata senza problemi.
Addirittura!
Certo che si!
Tutto allegro mi aveva spiegato che sarei stata vigile, ma ''rallentata'', avrei affrontato l'oretta di intervento percependola come un quarto d'ora scarso... ''Ma io vedrò qualche cosa?'' gli avevo chiesto un po' scettica e lui '' Sì, beh... Niente di interessante... Sarà come essere davanti alla televisione di domenica sera tardi, c'è un film brutto, ma lo si guarda ugualmente perché manca lo sbatti di cambiare canale...'' Aveva parlato in spagnolo, ma aveva detto proprio così ed io adesso ero curiosa.
Il marito in cucina sta spignattando: sono quattro giorni che prepara i nostri pasti, lava il bagno, i pavimenti, rifà il letto, riordina l'angolo cottura, fa lavatrice e asciugatrice, carica e scarica la lavastoviglie e... FA LA SPESA! Davanti al portone di casa, attraversata la stradina a senso unico dove abitiamo ora, c'è un piccolo supermercato e se manca il caffè, se ho voglia di pomodori o servono le uova... beh, è un attimo! Per Whisky è un diversivo, l'occasione per fare due passi e due rampe di scale. Poi ci sono anche altri negozi, moltissimi negozi! Il supermercato grande a duecento metri, la LIDL a quattrocento, i panettieri, i bazar, il mercato coperto e... l'Ikea. Sì, proprio quel luogo mistico e mitologico che racchiude le risposte a QUASI tutti i tuoi problemi logistici, il tempio della creatività nordica, la spa dell'arredamento, la Casa della Guarigione e del Relax abitativo!
Durante lo scorso fine settimana abbiamo allestito la casa al meglio, preparandola per una convalescenza funzionale e piacevole. Il nostro appartamento è piccolo ma molto carino: ha una zona giorno con angolo cottura, tavolo in cristallo, divano e una poltrona; poi il bagno (con l'illustre assenza del bidet, purtroppo!) e la stanza da letto, dove passo quasi tutta la mia giornata. Ma la cosa più bella è la parete di verto con le finestre scorrevoli che dà sull'immenso terrazza affacciata sui tetti e sul cortile dell'università. Mi è piaciuto subito. Però per renderlo pratico mancava qualche tocco, qualche soluzione intelligente, qualche suppellettile: ma c'era l'Ikea! A pochi passi da casa! Ci si poteva andare addirittura a piedi!
E così ci siamo procurati un paio di tazzine per il caffè, degli economici copri cuscini azzurri per sostituire quelli molto ''stilosi''(?) in pelle di vacca che facevano pendant col tappeto, sempre in vacca, in stile mandriano (arrotolato e immediatamente occultato sotto il letto); poi delle lenzuola di ricambio, degli asciuga piatti (erano in offerta e non bastano mai...) e qualche piccola salvietta bianca, visto che quelle in dotazione sono veramente troppo grosse per usarle per le mani. Rendere confortevole il bagno è stato più complicato, ma girovagando un po' a piedi per la nostra nuova città, con fantasia e spirito di adattamento, ci siamo procurati tutto il necessario.
Il fine settimana è trascorso così, tra passeggiate, esplorazioni e compere. Abbiamo scoperto cibi deliziosi e imparato a fare la spesa in questa nuova quotidianità catalana, facendo ''amicizia'' con la casa e col nostro splendido quartiere.
Così è arrivato lunedì, il giorno del ricovero. E' stato triste chiudere le tapparelle e lasciare fuori il sole pallido e incerto di quel mattino di febbraio! Ci eravamo già affezionati alla casa, alla nostra nuova routine, alla libertà dell'andare e venire per le vie piene di negozi alla scoperta di sapori, profumi, abitudini tanto differenti dalle nostre; ma era finalmente giunta l'ora che ci aveva condotti lì, in quel Paese, in quella città, in quel quartiere. Ci siamo avviati a piedi, percorrendo le poche centinaia di metri con un senso di inquietudine e attesa. Ma poi, una volta giunti nella camera 5, la nostra stanza, quello che sarebbe stato il ''nostro'' piccolo appartamento per le successive ventiquattro ore, tutto è cambiato...
E' incredibile quanto mio marito sia perfetto in questi giorni. Capiamoci: lui è fantastico, sempre, 364 giorni su 365! Con tutti i suoi difetti (e ne ha, come ciascuno di noi!) trovo che sia una persona meravigliosa. Però da qualche settimana a questa parte è incredibile, non sbaglia un colpo! Sta gestendo questo momento così delicato delle nostre vite in una maniera impeccabile.
Ora siamo seduti a tavola per il pranzo che, con la colazione, la cena e il tempo strettamente indispensabile all'igiene personale, costituisce la sola trasgressione alla mia perenne posizione orizzontale; nel piatto ci sono verdure, uova, formaggio: è tutto delizioso! Sul tavolo, accanto al bicchiere, ci sono i miei farmaci e su uno dei tavolini accanto al divano, quello che è stato adibito a ''farmacia'', i colliri, le medicazioni per l'occhio e le vitamine che inizierò a prendere tra un paio di giorni. Fuori dalla parete-finestra il tempo è incerto, un po' grigio, con qualche goccia di pioggia che si alterna a sporadiche occhiate di sole, ma i faretti sul soffitto illuminano la casa come se splendesse un gran sole.
E io il sole ce l'ho anche nel cuore!
Non è soltanto la presenza amabile e insostituibile del mio Whisky o quella della splendida torta al cioccolato a forma di cuore che ha portato a casa insieme alla spesa di questa mattina e che ora ci strizza l'occhio, sorniona e invitante, dal suo bel piatto accanto al cestino della frutta. Sono quattro giorni che mi sento così, avvolta da una nuvola leggera e dolce, una nuvola di amore e benevolenza, uno stato di grazia, di totale abbandono e fiducia mai provato prima e che non riesco a definire in altro modo che completa, assoluta ''felicità''.
E' iniziato tutto in quella camera lo al quinto piano, la stanza 5, la nostra stanza alla Barraquer...
L'infermiera ci aveva mostrato la camera, mi avevano lasciato il pigiama di tessuto-non tessuto azzurro, la cuffietta di retina verde e le ciabattine di spugna bianca e se n'era andata, dicendomi di prepararmi con calma che sarebbero venuti a prendermi a breve. Io ho sfilato i miei indumenti che il marito riponeva man mano nel grande guardaroba: mi restavano addosso solo gli slip e i calzini bianchi, ho dovuto togliere anche l'anello nuziale. Mi sono rivestita con quegli strani abiti e sono diventata un'altra persona: ero pronta, ero serena, ero sorridente. Una nuova consapevolezza si stava facendo lentamente strada in me, una nuova prospettiva: non ero sola ad affrontare l'ignoto ed ero molto, molto amata.
La capo-reparto è venuta a prendermi solo con un sorriso: niente lettiga, saremmo andate a piedi. Whisky ci ha accompagnate, lo sentivo camminare un passo dietro a noi, ma arrivati alla porta del laboratorio gli è stato detto di fermarsi lì, oltre non poteva seguirci. L'ho baciato ''A dopo!'' gli ho detto e mi sono avviata lungo il corridoio bianco e fresco, così pulito e profumato... mi sono voltata solo una volta a guardarlo, tanto lontano nel vano di quella porta che non poteva oltrepassare e gli ho fatto ciao ciao con la mano prima di sparire dietro ad un angolo. Per un attimo mi sono sentita persa: tutto ciò che conoscevo era dietro a quell'angolo, lontano come un altro mondo e altrettanto irraggiungibile.
Abbiamo preso un ascensore e la mia guida mi ha guardato in faccia mentre sprofondavamo insieme nelle viscere della clinica, verso la sala operatoria. ''E' agitata?'' mi ha chiesto ''Un pochino'' le ho risposto io per sintetizzare uno stato d'animo inedito e sospeso che non avrei saputo spiegare a chi non parlava bene la mia lingua. Mi ha chiesto chi mi avrebbe operato, io ho detto ''Lamarca'' e lei ha sorriso ''No te preocupes'' se mi operava lui non avevo nulla da temere.
Quando si è aperta la porta metallica dell'ascensore faceva veramente freddo, da rabbrividire. L'infermiera mi ha condotto in una strettissima sala d'aspetto con qualche poltrona e una pila di coperte, di mantas, che potevo usare per scaldarmi se il freddo fosse stato eccessivo; poi mi ha salutato: ''Adéu!''.
Ora ero proprio sola.
Non ho fatto in tempo a prendere la coperta che così gentilmente mi era stata offerta al mio arrivo perché, proprio quando la temperatura è diventata troppo difficile da sopportare, sono stata prelevata da un uomo che mi ha detto di stendermi su una barella dove al posto del cuscino c'era una specie di ciambella che mi immobilizzava la testa. Mi sono sistemata al calduccio sotto una coltre piuttosto spessa e siamo partiti verso la sala di anestesia.
Non ricordo nulla di quel luogo, potevo vedere solo il soffitto illuminato da luci tenui. Sentivo molte voci attorno a me: infermieri? Anestesisti? Pazienti in coda? Non lo saprò mai. Poi un viso, dolce e sorridente: ''Ciao, io sono Sal, il tuo anestesista. Quando il dottor Lamarca ci dà il via, cominciamo!'' io ho fatto sì con la testa e lui mi ha sorriso ed è uscito dal mio campo visivo. La posizione così dritta con la testa bloccata era un tantino fastidiosa e ho cominciato a dondolare un po' i piedi, a muovere le gambe... ''Sei scomoda?'' era Sal che, da un qualche punto accanto a me, si preoccupava del mio confort ''Un pochino...'' gli ho risposto ''Alza le ginocchia!'' io ho ubbidito ''Grazie...'' ho cominciato a dire, ma lui non c'era più. Dopo un istante l'ho sentito sollevare la coperta e sistemarmi un cuscino sotto le ginocchia: ''Meglio?'' sì, molto molto meglio! ''Bene, ora cominciamo: ti faccio dormire qualche minuto, così facciamo l'anestesia attorno all'occhio, lo blocchiamo, va bene? Sei pronta?'' io ho chiuso gli occhi, li ho riaperti, Sal mi ha sorriso ''Andiamo!'' e un attimo dopo ero in sala operatoria.
Sono in salotto con la schiena sollevata dai cuscini ricoperti di blu: è il turno della posizione a 45 gradi. Due volte al giorno, per tre ore di fila, posso lasciare la stanza, godermi il divano e la compagnia del marito, affaccendato come al solito: ora sta riordinando il tavolo da pranzo che a breve si trasformerà nel suo ufficio.
La torta di S. Valentino era deliziosa! Dolce, ma non troppo, morbida al punto giusto, cioccolatosa con misura e soprattutto inaspettata. In tutto questo tran-tran è incredibile che Whisky abbia pensato anche alla torta! Infatti il marito, oltre al consulente, alla casalinga e al cuoco, fa pure l'infermiere. Io sono in forzoso e cadenzato riposo: ogni tre ore devo cambiare posizione, restare il più immobile possibile per i successivi centottanta minuti e applicare svariare gocce di collirio da altrettanti svariati contenitorini, ad orari fissi, tra l'altro! E chi è il fortunato che si deve occupare di tutto questo? Sempre lui! Eppure non si lamenta, sbriga ogni cosa sorridente e tranquillo come se non avesse mai fatto altro in tutta la sua vita!
Per la verità sono serena anch'io e altrettanto sorridente. La convalescenza ha regole ferree e difficili; l'occhio operato è completamente ricoperto da una bolla di gas che lo rende inservibile e quello ''vecchio'', che già ci vede pochissimo, è affaticato dallo sforzo di lavorare per due: in pratica, se prima ero quasi cieca, ora sono ciecatissima! Poi ci sono le mille precauzioni nell'igiene personale e nei movimenti, la stanchezza causata dal sonno ''spezzato'' dall'alternanza trioraria delle posizioni, l'obbligo di adattare il più possibile i ritmi della quotidianità alla necessità di muoversi il più possibile in coincidenza dei cambi di posizione... insomma, ci sarebbe poco di cui essere felici, ora come ora! Eppure...
In sala operatoria la luce era decisamente più intensa. Il dottor Lamarca, in azzurro-chirurgo, si preparava a operarmi coadiuvato da una donna dai lineamenti delicati e i capelli scuri: il ''brutto film della domenica sera'' stava per iniziare! Però mi hanno coperto il viso con un telo leggero, azzurro-chirurgo pure quello: più che a un film, avrei assistito al teatro delle ombre cinesi. Peccato! Però potevo ascoltare le voci e i rumori, sentire il tocco delle mani e degli strumenti che mi sfioravano le porzioni di viso prive di anestesia, fare congetture e ipotesi su quello che stava accadendo... Cos'era quel rivolo gelido che mi colava sulla tempia? E quel rumore di compressore? Stavo sanguinando e mi aspiravano? Ma no! Il sangue è caldo, mica freddo! No, non era un rivolo... doveva essere... un tubicino? Forse quello del gas... ma certo! E quel rumore? Una pompa? Boh...
Ad un certo punto mi sono ricordata che per me tutto sarebbe sembrato molto più breve e quando Lamarca ha smesso di muoversi dietro al sipario azzurro, io mi sono stupita; sapevo che avrei dovuto subire due operazioni consecutive: la prima di circa quindici minuti, poi il trapianto vero e proprio che sarebbe durato tre quarti d'ora; però a mia sensazione era già bello che passato il quarto d'ora promesso dall'anestesista pazzerello, possibile che il chirurgo ci avesse messo così tanto a fare il primo intervento? Poi il dottore ha detto, rivolto all'assistente: ''Aspettiamo cinque minuti che il tessuto aderisca bene'' mi è stato scoperto il viso e... ''Ora deve stare il più ferma possibile con la testa e cambiare posizione ogni tre ore, è tutto chiaro? Mi raccomando...''.
Allora aveva finito! Cavoli, che velocità!
''Sarò molto scrupolosa, lo prometto!'' ho risposto tra serio e faceto.
Un attimo dopo ho lasciato la sala operatoria a bordo del mio lettino ''ciambelloso'' con le ginocchia ancora comodamente sostenute dal cuscino di Sal e le braccia finalmente libere (mi erano state immobilizzate appena prima dell'operazione). L'uomo della barella mi ha ripreso in consegna e ci siamo infilati nell'ascensore diretto al quinto piano.
Nella stanza numero cinque Whisky mi stava aspettando, ma ho avuto solo il tempo di dirgli ''ciao'' perché lo hanno fatto sloggiare per traslarmi dalla lettiga al letto con una specie di scivolo, dopo aver lanciato via il mio amato cuscino per le ginocchia.
Ecco ora spettava a me fare la brava come avevo solennemente promesso!
Hanno dato qualche istruzione al marito, mi hanno chiesto se volevo mangiare nella prima delle quattro posizioni, quella supina, oppure in quella successiva sul fianco destro una volta trascorse le tre ore canoniche. Io ho chiesto solo un po' d'acqua, avrei mangiato più tardi: anche se avevo già una fame... ma mi sembrava troppo complicato pranzare a pancia in su.
Ora dovevo aspettare, pazientare, resistere alla tentazione di muovermi e fare tutta l'attenzione possibile.
Potrebbe sembrare strano, ma la giornata è volata via tra le chiacchiere col marito, i saluti e i messaggi di amici e parenti, le visite periodiche delle infermiere, il pranzo-merenda in pieno pomeriggio, la cannuccia per bere l'acqua, la compagnia di un buon audio libro. Non posso dire che sia stato facile, tenere una posizione tanto a lungo è molto complicato e un po' doloroso, ma pensavo peggio... Quella sensazione di amore e cura dalla quale mi ero sentita avvolta prima di partire per la sala operatoria perdurava, si intensificava... ero affaticata, ma serena; provata, ma felice.
Poi è scesa la sera: come avrei fatto a trascorrere tante ore di silenzio, scomodità e solitudine? Verso le dieci un'infermiera ha preparato il letto a Whisky, alle undici mi hanno servito la cena (assolutamente squisita, proprio come il pranzo!); un'ora dopo hanno mandato a nanna il marito: ci avrebbero pensato loro a farmi cambiare posizione, lui poteva dormire un po'.
La luce adesso era spenta, filtrava solo un chiarore tenue proveniente dal bagno. Lui dormiva, io ero immobile a quarantacinque gradi, nella notte silenziosa di una clinica a mille chilometri di distanza da casa... Situazione difficile, vero? Ho sempre odiato la solitudine notturna, soffro del silenzio e della quiete, soprattutto se devo dormire sola. Spesso in condizioni simili sono tesa e nervosa, faccio fatica ad addormentarmi, mi giro e mi rigiro nel letto senza trovare riposo. Ma ora NON ero sola! Il mio stato d'animo era quello di uno che riposa beato in una stanza piena di amici che chiacchierano, giocano, si fanno i fatti loro gettando, di tanto in tanto, un'amorevole occhiata al dormiente. E' la sensazione meravigliosa di una convalescenza infantile, a casa, sul divano, comodi e al calduccio mentre la vita famigliare si srotola tutto attorno, appena oltre il nostro campo visivo... Ecco, io mi sentivo così! Come una bimba malata circondata dall'affetto di parenti impegnati nelle attività domestiche quotidiane. Percepivo la carezza di una benevolenza quasi palpabile, di una vicinanza dolce e consolatoria come se tutto intorno a me fosse immerso nella tranquilla beatitudine di un amore invincibile, invulnerabile e imperituro. E la notte è volata via, il mattino ha bussato alla porta con la colazione per due che l'inserviente ha lasciato sul grande tavolo della nostra camera; poi il controllo medico, le istruzioni del chirurgo, il via libera per la dimissione. Ma come? Di già? Non avrei voluto andarmene tanto presto, mi sarebbe piaciuto restare ancora un po', mi sentivo così al sicuro lì! Come in una fortezza dove non era possibile che mi succedesse alcune male...
E' stato difficile lasciare la clinica e quella beatitudine, quella sensazione amorevole e protettiva che sapeva di infanzia: sarei stata ancora così perfettamente felice, prima o poi?
Abbiamo percorso a piedi e con circospezione la strada di ritorno, siamo entrati in casa, abbiamo aperto le tapparelle e... Non era cambiato niente! Ero ancora felice, perfettamente felice!
Sono passati tre giorni esatti dalla mia dimissione e nulla è cambiato. Siamo qui a casa nostra, in questo splendido quartiere nel cuore di una città meravigliosa di cui ci sentiamo parte e che stiamo vivendo con curiosità ed entusiasmo, nonostante tutto. Oggi è una giornata speciale, un S. Valentino unico che probabilmente non dimenticheremo mai. Di sicuro io non lo dimenticherò! Un amore così grande non lo avevo mai provato prima: un amore che mi si manifesta in ogni cosa, in ogni persona in ogni gesto d'affetto o di saluto, in ogni messaggio di amicizia e vicinanza; mi amano il sole e le nuvole uggiose di questo tiepido inverno barcellonese, mi amano i piccioni che becchettano sulla terrazza le briciole di pane e i parrocchetti chiacchieroni tra le fronde degli alberi del cortile universitario; mi ama questa casa come pure la clinica coi suoi medici, il mio chirurgo, le infermiere del quinto piano, il caro Sal nei meandri del Quirófano... Mi ama il dottor Rutllan, la mia maestra Aldina, don Mario (il vecchio parroco della mia infanzia), la mia nonna Elvira e gli altri tre nonni... Di tutti coloro che mi amano e che mi hanno amato ora posso percepire l'amore e in questo coro, in questo flusso senza spazio e senza confini una voce tra le altre canta da solista: è quella di mio marito. E' lui che con i suoi gesti, le sue scelte, le sue premure incanala tutto questo e mi rende concreto, tangibile e inequivocabile tutto l'amore dell'intero Universo.
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