La serenità del preventivo peggiore
Ecco: il mio segreto è l'allenamento. Mi alleno ad affrontare gli scossoni dell'esistenza attraverso il metodo del preventivo peggiore. Quando si tratta di prendere una decisione, affrontare una circostanza o un cambiamento, prima di imboccare una delle alternative disponibili, mi soffermo a valutarne i possibili sviluppi, visualizzando con chiarezza soprattutto gli esiti che giudico meno piacevoli o desiderabili. Se, a conti fatti, anche lo scenario peggiore, per quanto possa essere solo una remota possibilità, mi risulta accettabile, allora la scelta è percorribile: se posso sostenere il peso del caso peggiore, se l'ho già messo in conto e l'ho accettato come un risvolto plausibile, allora con correrò il rischio di trovarmi impreparata davanti ad un'evenienza che, per eccessivo ottimismo o superficialità, a tempo debito non avevo voluto tenere in considerazione.
A prima vista potrebbe sembrare un discorso da pessimisti e spesso vengo proprio accusata di essere tale da coloro coi quali discuto questa mia prerogativa, ma in realtà questo metodo di valutazione assomiglia al detto latino: ''Si vis pacem, para bellum'', ''Se vuoi la pace, prepara la guerra''. Per ottenere la pace, la serenità nel nostro caso, io mi preparo alla guerra, vale a dire a combattere e vincere quegli eventi negativi che potrebbero scuotere il mio equilibrio, portando caos e frustrazione nella mia vita.
E nel momento in cui dall'analisi preliminare degli scenari risultasse che una delle eventuali derive di quanto in esame fosse per me impossibile da sostenere? In questo caso mi troverei davanti a due possibilità: o rinunciare, qualora sia possibile, a intraprendere quella strada; oppure lavorare sia dentro che fuori di me affinché, da una parte, l'esito così tanto indesiderato diventi, tra le tante, l'eventualità più improbabile, dall'altra facendo in modo che la costante prefigurazione di ciò che temo mi aiuti a ottenere familiarità con quello scenario che, girato e rigirato nella mente, diverrà meno alieno e spaventoso, pur mantenendo intatta la sua indesiderabilità.
Questo stratagemma, più che essere un ''fasciarsi la testa prima di essersela rotta'', costituisce una sorta di casco che, nell'eventualità malaugurata di un incidente grave, mi eviterà i danni di una possibile rottura di testa. Da questo punto di vista, i dispositivi di sicurezza che costellano la nostra quotidianità sottendono alla medesima logica del preventivo peggiore: non ci mettiamo la cintura di sicurezza perché riteniamo pessimisticamente che faremo un incidente, ma perché qualora esso si verifichi, ci garantisca i danni più lievi possibile. Dal casco al fusibile salva-vita, dalle scarpe antinfortunistiche a tutto il ventaglio degli esami clinici di prevenzione; accettiamo volentieri di prendere precauzioni che preservino la nostra integrità fisica, perché dunque, parimenti, non dovremmo fare altrettanto per quella interiore? Noi siamo un impasto inscindibile di mente e corpo, di interiorità ed esteriorità, di cellule e pensieri… "Mens sana in corpore sano'' professavano ancora i latini e credo che avessero assolutamente ragione. Non dovremmo preoccuparci così tanto di uno solo di questi due aspetti; la mente ha eguale bisogno di cura e prevenzione perché il nostro benessere passa anche, se non principalmente, da essa.
Commenti
Posta un commento