L'occhio di Lince - Le origini



Ciao! E' un po' che non mi faccio viva, lo so. Forse avrai perso la pazienza o la speranza che, prima o poi, questa vecchia Lince sfaticata finalmente si palesasse; se fosse così, non te ne farei certo una colpa, anzi... in un certo senso me la sono cercata! Solo in un ''certo'' senso, però. Ma se oggi sei qui che mi stai leggendo, allora vuol dire che hai aspettato moooolto pazientemente, e di questa pazienza ti ringrazio. Ecco, ora ti spiego: ho avuto il mio bel da fare! Però dibbiamo procedere con ordine e partire dal principio.

Questa storia inizia tanti... tanti anni fa, quando una piccolissima Linciottina faceva il suo ingresso nel grande Mondo. 
Tutti contenti.
Tutti felici.
Fino a quando non è saltato fuori che la mia versione neo nata non è che fosse proprio tanto perfetta. "E' nata cieca" avevano detto i medici del reparto maternità (spoiler: si erano sbagliati, ma questo i miei familiari mica lo potevano sapere, sul momento!); col tempo si è capito che la Linciotta era solo "quasi cieca", il che ha prodotto solo un "quasi sospiro di sollievo", dal momento che si doveva comunque scoprire cosa cavolo ci fosse che non funzionava a dovere. I dottori facevano i vaghi: "Potrebbe essere... Potremmo tentare...", ma per la verità non ci stavano capendo un piffero. A Milano un professorone dell'epoca mi aveva già preparata per operarmi di Glaucoma (avevo solo qualche settimana) quando mia nonna, con fare ringhioso e inquisitorio, se ne era saltata fuori con un "Ma è sicuro?" che aveva fatto titubare il chirurgo quel tanto che a lei era bastato per prelevarmi, già bella che sedata, dalla sala preoperatoria e riportarmi tra le amorevoli mura domestiche, in attesa di un nuovo consulto con un altro medico, si sperava, più preparato di quello. Abbiamo girato da uno specialista all'altro senza grandi soddisfazioni, fino al giorno in cui siamo approdati in Spagna, olè!, e per la precisione a Barcellona: nella rinomata e ben frequentata clinica Barraquer. 
Era stato il Fato, il Destino, la Provvidenza ad indirizzarci verso l'arcinoto polo di eccellenza oculistica e lo aveva fatto attraverso il consiglio di un cliente del baretto, adiacente ad un supermercato, che la nonna aveva in gestione: "Ho saputo che le è nata una nipotina con dei problemi agli occhi, provi ad andare a Barcellona, io sono in cura lì!". Ecco fatto! Avevo circa tre mesi quando finalmente il mio problema aveva avuto un nome: Distrofia Corneale Congenita di Fuchs. 
Il dottore che mi aveva preso in carico era il braccio destro di Barraquer in persona e aveva sottoposto il mio caso al luminare per avere anche un suo parere: cosa dovevano fare per quella neonata italiana? Niente, per il momento: visite e controlli ravvicinati (prima tre poi sei mesi, per arrivare col tempo ad un anno), in pratica un' osservazione scrupolosa dell'andamento della malattia per decidere se e quando effettuare il trapianto di cornea. 
Il dottor Rutllan era un uomo minuto, dolcissimo, paziente e positivo; il suo capo e amico, al contrario, era un omone burbero e dal carattere focoso che, neanche a dirlo, si era subito scontrato con la nonna: lei pretendeva tutta una serie di certezze e rassicurazioni che il medico, naturalmente, non poteva darle così, su due piedi. ''Stia tranquilla'' le aveva detto Rutllan quando Barraquer se n'era tornato nel suo studio lasciandola delusa e arrabbiata ''ha un brutto carattere, ma è un genio; la bambina starà bene, si fidi di noi''. La nonna si è fidata e la giostra è partita! Ho viaggiato per anni avanti e indietro dalla Spagna ed ogni volta andava un po' meglio, recuperavo sempre qualche minuscolo granellino di visus. A casa mettevo colliri e prendevo vitamine, a Barcellona facevo visite, test, controlli...
E il tempo passava... 
E io diventavo grande... 
Un bel giorno è arrivato il momento di andare a scuola: come avrei fatto a studiare? ''Se la bambina riesce a cavarsela, l'idea dell'operazione, per ora, la accantoniamo.'' Rutllan, sorridente e posato come di consueto, aveva chiarito che un trapianto comportava il cinquanta per cento della possibilità di rigetto, con conseguente perdita della vista; chi vi si sottoponeva aveva come obbiettivo arrivare a vederci quanto ci vedevo io così, al naturale! Era un rischio che non valeva la pena di essere corso, sempre che la scuola non costituisse un ostacolo insormontabile. ''Vediamo come va: iscrivetela in prima e ne riparliamo il prossimo anno''.
Non se ne è riparlato più. 
A scuola me la sono sempre cavata alla grande! Certo, dovevo fare una gran fatica, la mia malattia rende il mondo sfocato e nebbioso come un autunno in val padana, ma col naso appiccicato ai libri e il banco sempre in prima fila per vedere la lavagna, sono arrivata tranquillamente alla maturità scientifica e mi sono iscritta a Filosofia. Nei primi anni di scuola è stato determinante il contributo della mia splendida maestra Aldina (di lei ti ho parlato nel post ''La maestra migliore del mondo'') e dei miei compagni di classe, che mi hanno sempre supportata, ma senza farmi sentire diversa o handicappata. Dal canto mio, io ho imparato a sfruttare al massimo la memoria tenendola allenata costantemente; è stata la mia arma più potente durante gli studi, ma non solo! Spesso la gente non si accorge nemmeno del mio problema di vista, proprio perché memorizzo all'istante ogni dettaglio per muovermi agevolmente negli ambienti che non conosco, ''fotografo'' al volo i cartelli stradali per rileggerli con calma nella mente, registro l'ubicazione dei punti di riferimento o di tutti ciò che potrebbe essermi utile, ricordando ogni cosa anche a distanza di molti anni. E poi il tatto: so riconoscere gli oggetti e i materiali, percepire le più minute differenze di una superficie passandoci sopra un dito, mentre il timbro caratteristico delle varie voci mi permette di riconoscere chi mi saluta da lontano; gli odori e i profumi mi aiutano a scoprire quello che con gli occhi non riesco a vedere e mi guidano nell'esplorazione del mondo che mi circonda, mettendomi anche in allarme, qualora sia necessario; riesco addirittura a comprendere le emozioni degli altri attraverso l'olfatto, oltre a capire se qualcuno è malato o se sta prendendo farmaci particolarmente invasivi. Insomma, ho sviluppato tutta una serie di trucchetti e abilità collaterali a supporto del deficit visivo, tanto che la mia vita è stata tutto sommato abbastanza normale, fatto salvo per alcune importanti limitazioni come, per esempio, l'impossibilità di ottenere la patente di guida. Così gli anni trascorrevano e tutto filava liscio come l'olio, ma poi, un brutto giorno, non sono stata più in grado di leggere.
A dire il vero non mi presentavo ai controlli da un po' di tempo, del resto la vista era stabile da decenni, non c'era stato più nessun miglioramento ne peggioramento da quando avevo terminato le scuole medie. Nel frattempo mi ero sposata e avevo avuto Nilo e Attila; ero alle prese col mio ruolo di mamma, moglie e studentessa. In poche parole, ero occupata a vivere la vita di una giovane donna di provincia, con due bimbi piccoli, senza patente e con il marito che lavora tutto il giorno lontano da casa: un gran bel casino, insomma! Come se non bastasse, il mio amatissimo dottor Rutllan era mancato appena prima del mio matrimonio, lasciandomi in balia di un dottorino che non mi ispirava poi tutta questa fiducia (ti ho parlato di lui nel post ''La mia Barcellona'', ti ricordi?). Così per molti anni mi sono fatta i fatti miei, rimandando sempre più in là quel controllo che dai tempi dalla mia adolescenza era ormai diventato biennale. Però verso i quarant'anni ho cominciato ad avere qualche problema: anche appiccicando il naso alla pagina, non riuscivo più a leggere neanche una parola! Mi è venuta la sghigetta, così abbiamo prenotato una visita in clinica, un biglietto aereo per quattro (gita di famiglia a Barcellona! I figli gongolavano) e in men che non si dica mi sono ritrovata con gli occhiali da lettura ben piantati sul naso.
Presbiopia.
Solo una precocissima e banale presbiopia. 
Ed io che avevo creduto di essere lì lì per il trapianto! 
Pericolo scampato. 
Da quel giorno sono stata ligia e ho effettuato i controlli ogni due o tre anni come da istruzioni del solito dottorino, lo stesso che mi aveva vista per la prima e (fino a quel momento ultima) volta durante il mio viaggio di nozze.
Poi mi sono ammalata di Artrite Reumatoide.
Poi è arrivato pure il COVID.
Per un bel pezzo non ho fatto visita alla mia amata clinica e nel mentre ho ricominciato ad avere problemi a leggere. ''Sarà ora di rifare le lenti!'' mi sono detta, ma tra la mia nuova simpatica Artrite Reumatoide per di più pure ''atipica'', il tran tran delle restrizioni anti COVID e la ripresa lenta della normalità nel post pandemia, me la sono presa con un po' troppa calma, confidando che a suo tempo un nuovo paio di occhiali avrebbe risolto all'istante tutti i miei problemi.
Però...
Però una vocina nella testa mi diceva che stavo facendo troppa fatica, perdevo un po' troppi colpi e non solo nella lettura: tutto stava diventando sempre più difficile, complicato... 
La vista era tornata ad essere un problema gravoso. 
Ho raccolto il coraggio e mi sono presentata alla Barraquer e al nuovo medico, un chirurgo, che aveva preso il posto del dottorino (ormai non più tanto INO) il quale aveva spiccato il volo per fondare uno studio tutto suo. Ero tutto sommato serena: sicuro sicuro ero peggiorata, ma degli occhiali nuovi mi avrebbero svoltato l'esistenza: garantito al limone!

Arrivati qui, lasciamo l'ignara me del passato alle sue pie illusioni, perché questa è una storia lunga e te la voglio raccontare per benino. Quindi per ora ti dico ''Ciao!'' con la solenne promessa che questa volta non mi farò attendere mesi e mesi.
Il prossimo sabato ti terrà compagnia una nuova pagina del diario di Gallinella, ma quello dopo scoprirai cosa mi ha detto il mio nuovo medico, il dottor Lamarca, in quel lontano dicembre del 2022.
Un bacio dalla tua Lince! 

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