Un po' di normalità



Come tutte le sere di tutti i giorni di tutti i mesi di ciascuno degli anni che la loro vita poteva contare, Fausto e Nera stavano tornando a casa; erano avvolti dalla nebbia autunnale che sfumava i contorni di quella dannata città. Erano stanchi ma felici: presto sarebbero iniziate le vacanze che attendevano da un'intero ciclo di rivoluzione terrestre. La gente attorno a loro sembrava più affabile e amichevole del solito, ma sapevano che era soltanto una maschera, un'apparenza che celava dietro a una presunta bonarietà la solita orribile miscela di odio, disgusto e sospetto. Per quelli come loro non c'era un gesto gentile, comprensione ed empatia: erano reietti, temuti e schivati. Invisibili e indesiderabili. Ormai ci avevano fatto il callo, ma era bello, una volta tanto, vedere un po' di normalità, un po' di facce amichevoli e rassicuranti, invece delle solite orribili smorfie. Era bello sentirsi uguali a tutti gli altri, insomma!
Avevano sceso le scale e si erano avventurati lungo i cunicoli della metropolitana gremiti come formicai: si trovavano più a loro agio lì, al di sotto delle strade intasate di traffico e di rumore; non che regnasse la quiete e il silenzio in qui sotterranei, comunque! 
Con un piacevole sferragliare la locomotiva si era profilata in lontananza, coi suoi occhioni gialli e luminosi ed il canto monotono del metallo stridente e consumato delle ruote che accarezzano i binari. Pochi istanti ancora e il convoglio si sarebbe fermato, avrebbe aperto sbuffando le sue grandi porte e avrebbe risucchiato nella lunga pancia i viaggiatori in trepidante attesa. Tutti avevano fretta, quella sera; ma era una fretta diversa dal solito, vivace, scoppiettante, giocosa. 
Nera si era soffermata a contemplare il viso del ragazzino alla sua destra: gli aveva sorriso un istante prima che venisse fagocitato assieme a sua madre nel ventre del vagone. Quello si era voltato indietro, aveva ricambiato e le aveva anche rivolto un cenno di saluto. 
Così lei aveva fissato Fausto, con un desiderio negli occhi, in una preghiera silenziosa. 
"No! Non farti ingannare, sono sempre gli stessi, è solo apparenza."
Nera aveva abbassato lo sguardo sulle mattonelle sporche; in fondo sapeva che lui aveva ragione, ma avrebbe tanto voluto…
"Saliamo anche noi?" aveva domandato infine, cercando con gli occhi il bimbetto attraverso il groviglio di arti, torsi e teste.
"No, prendiamo il prossimo, non c'è fretta."
Un altro treno, un altro mare di gente, brusii, sbuffi e le porte aperte sulla banchina. 
Avevano atteso che i passeggeri salissero ed erano sgusciati anche loro all'interno dell'enorme lombrico di metallo, vetro e plastica. Se ne stavano tutti accalcati: i bambini ridevano e si facevano le smorfie mentre gli adulti li osservavano con indulgenza; loro invece si godevano il dondolio della metro, i sussulti e le frenate brusche, gli urti e le spinte di quel mare di membra lanciate a vertiginosa velocità nel buio del sottosuolo. 
"Hai visto, mamma?" aveva bisbigliato una bimba dolcissima a pochi centimetri e molti corpi di distanza "Quei signori sono...sono…"
La madre aveva annuito e aveva sorriso a Nera, guardandola con ammirazione; lei aveva ricambiato quel sorriso: come avrebbe voluto fare quattro chiacchiere! Ma Fausto l'aveva strattonata "Scendiamo alla prossima, vieni!" e l'aveva sospinta verso il portellone che stava già per spalancarsi nella stazione affollata di una fermata che non era quella giusta.
"NESSUN CONTATTO; Nera! Ricordi? Nessun contatto. Andiamo!"
"Dove?" 
"Torniamo in superficie, prenderemo il tram."
Lei aveva sospirato e lo aveva seguito lentamente, mesta mesta, lungo le scale e poi per le vie decorate a festa, con le vetrine piene di bellissime zucche, di fantasmi, vampiri, mostri e pipistrelli adorabili.
I passanti li additavano o si complimentavano con loro: che travestimenti meravigliosi avevano quei due! E loro si gustavano la gioia di poter passeggiare indisturbati alla luce dei lampioni. Quella sera non si sarebbero nascosti nell'ombra, non avrebbero strisciato lungo i muri, muovendosi con circospezione, circondati da esseri orribili e spaventosi; almeno per una volta, per quell'unica notte dell'anno.

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