L'importante è come lo usi
"...l'importante è come lo usi!" questa è una considerazione che, doppi sensi a parte, può essere applicata a tutti gli strumenti di tutti gli ambiti della vita umana. Noi esseri umani abbiamo la possibilità di scegliere come e quali strumenti utilizzare a, si auspica, nostro vantaggio; non siamo vincolati a seguire l'istinto, ma siamo in possesso delle facoltà necessarie per valutare l'opportunità e la modalità con la quale avvalerci delle risorse a nostra disposizione, siano esse naturali o tecnologiche, individuali o culturali Non ci sono strumenti 'buoni' e strumenti 'cattivi', la differenza la può fare unicamente l'impiego che ne facciamo, demonizzare lo strumento è solo un risibile tentativo di sottrarci alle responsabilità che la nostra libertà, razionalità e intelligenza mettono quotidianamente sulle nostre spalle. Anche minimizzare la possibilità di scelta o azione rispetto agli strumenti, in special modo quelli tecnologici, che costellano l'universo della nostra quotidianità, è solo un espediente per spostare il focus dalla colpevolezza di abitudini poco salutari, se non addirittura dannose, sia per l'individuo che per la società nel suo insieme.
Questa premessa generale è il punto di partenza per una riflessione che, nello specifico, vuole analizzare un fenomeno dilagante che, a mio avviso, potrebbe trovare la sua origine in una deriva sottilmente insita in molte delle nostre abitudini quotidiane.
Oggi è tutto meravigliosamente fast: il cellulare ci permette di raggiungere in qualsivoglia istante e in pochi secondi amici, parenti o conoscenti, offrendoci la possibilità, inedita nella storia umana, di intessere e rinsaldare legami con esseri umani distanti migliaia di chilometri dai luoghi ove si svolge la nostra vita; i social, allo stesso modo, ci aprono finestre virtuali sulla vita e gli interessi di svariati milioni di persone, dislocati su tutta la superficie terrestre, ampliando a dismisura i nostri orizzonti e le nostre opportunità; internet ci da un accesso illimitato a informazioni e conoscenze con possibilità pressoché istantanea di consultazione; i negozi on-line e le consegne sempre più rapide di merci e alimenti, ci offrono un risparmio in tempo e fatica, risorse che abbiamo la possibilità di reindirizzare a vantaggio di una vita meno vincolata dai bisogni, quindi potenzialmente più libera. Tutte cose meravigliose, invenzioni eccellenti capaci di rendere l'Uomo sempre più umano, potenzialmente aumentando a dismisura le nostre prerogative di curiosità, eclettismo, creatività che necessitano di tempo ed energie per essere coltivate.
Però c'è un però.
Lungi dal voler generalizzare, appare evidente che il risvolto più frequente di tanta rapidità e facilità di comunicazione sia l'impazienza. Sempre più spesso capita di scontrarsi con la pretesa infantile di un riscontro in tempo reale, come se la necessità o la semplice voglia di ottenere immediatamente una risposta, un'informazione, un contatto fossero vissute come un "diritto inalienabile" di un soggetto nei confronti di un altro, peraltro totalmente svincolato da qualsiasi liceità. Capita di doversi addirittura giustificare per non aver risposto ad una chiamata o ad un messaggio, magari giunti in un momento poco propizio se non inopportuno, come se fosse obbligo dar seguito alla pretesa irrispettosa di un contatto immediato, quando, invece, una chiamata telefonica dovrebbe esprimere il desiderio di interagire, nella piena libertà di entrambi, non un obbligo che, se disatteso, genera colpevolezza, tanto da sottintendere una motivazione seria e fondata da fornire prontamente al tribunale di chi ha visto ignorato il suo tentativo di contatto. Questo è un comportamento fortemente lesivo della libertà: la possibilità di comunicare in qualsiasi momento, non è da intendersi come un obbligo a farlo e il decidere di rimandare tale possibilità non genera colpa, qualora, naturalmente, il contatto ricada sotto la sfera privata e personale. Tuttavia anche nell'ambito professionale si comincia a soffrire di questa deriva: telefonate fuori orario che, se ignorate, richiedono giustificazione; messaggi e mail a tutte le ore del giorno e della notte che spesso vengono date dal mittente per immediatamente lette, generano un circolo vizioso di stress difficile da spezzare.
Il paradigma "se posso, devo" che origina il suddetto comportamento, ha creato l'illusione di una sorta di sudditanza degli altri al capriccio soggettivo, che richiede di essere soddisfatto al momento. Se un programma televisivo, un libro, un ristorante, un negozio, un sito...non esaudiscono immantinente le nostre aspettative, anche se illegittime, di rapidità e facilità di fruizione, ci sentiamo indispettiti, frustrati o truffati, in diritto, insomma, di ergerci a giudici e parte lesa di un misfatto che esiste unicamente nella nostra fantasia; i colpevoli di tale affronto devono passare attraverso il nostro sottile vaglio e, se riconosciuti mancanti, sopportare passivamente la nostra "giusta" indignazione, la quale, nell'epoca dei social, sfocia troppo spesso in polemica pubblica, ingiustificata e ingiustificabile, aggressiva e vendicativa.
Tutto questo è veramente triste! Abbiamo così tante, allettanti prospettive che ci vengono da possibilità che solo qualche decennio fa erano inimmaginabili e le sprechiamo colpevolmente, trasformandole in un male per noi e per gli altri. Quei mezzi che potrebbero migliorare la nostra vita, nelle nostre mani incoscienti riescono a generare molta più tensione, rabbia, ingiustizia di quelle che esisterebbe in un mondo senza una tale possibilità. E allora? E' l'innovazione tecnologica ad essere colpevole di questa deriva, o è l'illusione di onnipotenza sfuggita al nostro controllo? Gli strumenti non possono avere colpe: un martello si può usare per costruire una casa o per spezzare una vita, siamo noi che decidiamo cosa farne. Il computer, il telefono cellulare, i social, internet sono una risorsa meravigliosa che troppo spesso ci permettiamo di sprecare, facendone un male sottile che corrompe il nostro ego e lo trasforma in un mostruoso fagocitatore della libertà altrui; ma essi non sono e non potranno mai essere i responsabili della modalità con la quale decidiamo di impiegarli.
lo strumento in sé non conta, tutto sta in come lo usi!
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