Iniqua equità



Qualche settimana fa, durante una splendida gita in montagna, mi sono trovata a ragionare con un'amica di dislessia, discalculia e tutte le ''dis'' che la scuola supporta con protocolli specifici, al fine di rendere accessibile a tutti un apprendimento efficace e motivante.
La mia amica, meravigliosa maestra elementare alle soglie della pensione, mi raccontava i progressi che si sono fatti in merito, al fine di rendere meno complicata la vita dei bimbi che soffrono di vari disturbi dell'apprendimento e più equo l'accesso all'istruzione.
Apparentemente sembra proprio così, ma solo apparentemente.
Ritengo infatti che vi siano molteplici forme di difficoltà , molteplici ostacoli che un individuo può soffrire lungo il suo percorso di studi; il fatto che solo una parte di questi impedimenti sia stato codificato, reso diagnosticabile e contrastato attraverso specifiche procedure, rende profondamente iniquo il mondo della scuola.
Sembra un controsenso, ma ritengo che le cose stiano esattamente così.
Infatti: per tutti coloro che si trovano ad affrontare una forma molto marcata dei suddetti disturbi è innegabile la necessità di poter usufruire di modalità di studio che tengano conto delle loro caratteristiche; tuttavia vi sono anche forme lievi o lievissime i cui impedimenti oggettivi possono essere equiparabili a caratteristiche personali quali, per esempio, una scarsa attitudine alla memorizzazione o allo studio in generale, una mancanza di inclinazione verso una materia o uno schema di pensiero non convenzionale che esula da quelli che la legge considera a diritto di supporto.
In quest'ottica la scuola si trova suo malgrado a compiere favoritismi nei confronti di una parte di individui portatori di caratteristiche riconosciute dalla legge come ''penalizzanti'', a discapito di altri studenti, certo, ma anche degli stessi, dal momento che un'eccessiva agevolazione potrebbe impigrire, rendendo innecessario lo sforzo di trovare strategie vincenti di gestione delle proprie caratteristiche e risorse personali, in una fase della vita nella quale gli individui sono chiamati a costruirsi una serie di competenze finalizzate a renderli adulti capaci nel mondo "fuori dalla scuola", sicuramente con notevoli vantaggi a lungo termine per tutti coloro che, lasciati alle mercé delle loro difficoltà individuali, sono stati obbligati a ingegnarsi per trovare modalità originali e personali di far fronte al proprio limite.
In definitiva ritengo che si debba essere prudenti nell'elargire facilitazioni agli studenti portatori di caratteristiche "atipiche", onde valorizzarne le potenzialità, con ampi benefici a lungo termine, pur nelle difficoltà iniziali che potrebbero insorgere durante il percorso di studi; inoltre una indiscriminata applicazione delle facilitazioni riservate alle forme codificate più gravi, potrebbe discriminare tutti gli studenti che si trovassero a fare i conti con difficoltà non riconosciute (o addirittura non riconoscibili), sottoponendoli a una fatica iniziale che potrebbero in futuro costituire fonte di abbandono del percorso scolastico o, viceversa, preziosa palestra di autogestione delle risorse personali.
Queste considerazioni nascono dalla mia personale esperienza scolastica.
Sono nata all'inizio degli anni settanta, quando la scuola ancora non si avvaleva di insegnanti di sostegno e protocolli di supporto. La mia condizione di ipovedente grave è stata gestita dalla maestra e dai compagni con semplici attenzioni a quanto era effettivamente in mio potere, lasciando che io sviluppassi i miei stratagemmi di "sopravvivenza", potenziando e sfruttando al massimo le caratteristiche positive che erano a mia disposizione. La bravura della mia insegnante mi ha permesso di sentirmi alla pari di tutti gli altri e di non identificarmi mai con il mio handicap. A scuola ero quella che imparava a memoria senza fatica e che scriveva lunghissimi temi molto apprezzati da insegnanti e compagni; quella che non era brava in matematica e che faceva fatica a leggere a voce alta; che amava le scienze e faceva pena nel disegno tecnico ("tu non disegni, tu ari il foglio!" mi diceva il mio insegnante al liceo); che dava ripetizioni di Lettere e Filosofia ai compagni durante l'ora di ginnastica e che faceva fatica nelle versioni di Latino tanto da rischiare l'esame a settembre (i dizionari sono scritti così in piccolo!!!). 
Nessuno mi ha mai considerata "quella disabile", così ho imparato a non identificarmi col mio limite, ma coi miei punti di forza. Sono da sempre consapevole di avere un grosso punto debole e orgogliosa delle strategie che ho escogitato per aggirarlo, ho imparato che siamo tutti diversi e speciali, ognuno a modo suo, tutti pieni di risorse che aspettano solo la possibilità di manifestarsi attraverso la prova. Nel mio caso tutto questo si traduce nello stupore di coloro che vengono a sapere del mio problema dopo qualche tempo dalla nostra conoscenza e che stupiti esclamano:" Ma in che senso non ci vedi? Noi non ce ne siamo accorti!".

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